Cortesi – Dieci anni da Timoniere

Angelo Cortesi timoniereNell’intervista che segue il titolare di Coel Srl e presidente uscente di Anccem, Angelo Cortesi, ha ripercorso i momenti salienti del decennio trascorso alla guida dell’Associazione, durante il quale allo choc della grande crisi il settore ha risposto con la volontà di riemergere.

Al momento in cui l’attuale presidente uscente Angelo Cortesi prese dieci anni orsono il timone dell’Associazione nazionale dei costruttori di molle la congiuntura economica era a dir poco sfavorevole. Le macerie lasciate dalla crisi finanziaria si sono trasformate però col tempo nell’ideale humus dal quale far germogliare la ripresa. Cosicché il crollo del 2008 ha fornito allo stesso Cortesi, titolare della lecchese Coel Srl, più di uno spunto per sperimentare la possibilità di dare vita a un nuovo modello d’impresa, ispirato ai principi dell’etica. Proprio quest’ultima, in contrasto con la frequente amoralità della finanza, si è quindi trasformata in uno dei leitmotiv della sua presidenza, insieme ad altri temi di non minore interesse. Primo fra tutti la necessità di una formazione continua e di un costante aggiornamento delle competenze tecniche del personale dei mollifici. Certo, negli anni qualche delusione non è mancata e qualche iniziativa ha finito per arenarsi, pronta però a trasformarsi in un lascito prezioso a beneficio del presidente che verrà. «Ma rifarei tutto e da questo incarico ho ricevuto molto più di quel che ho dato», ha sottolineato inequivocabilmente Angelo Cortesi.

Cosa ricorda, presidente Cortesi, dell’avvio del suo primo mandato a fine 2008?

Come mi è capitato spesso parlando per esempio con studenti e universitari, quando mi insediai ufficialmente il 31 ottobre del 2008 il fatturato della mia azienda era ai massimi. Poche settimane dopo, a causa della crisi finanziaria, era crollato del 40%. È chiaro quindi che sono stato eletto in un momento di enorme sofferenza. Tutti si chiedevano cosa stesse succedendo e la recessione seguita al caso-Lehman è stata di una durata impensabile. I mesi a venire non furono meno drammatici e soltanto nell’estate successiva si ricominciò a vedere la luce. Non a caso, questo sarà il tema di apertura della relazione che intendo portare al prossimo congresso nazionale di Stresa. In generale, le aziende del nostro settore lamentavano cali del business pari ad almeno trenta punti percentuali. Tutte sono poi tornate a galla, più o meno lentamente; e certamente sono adesso più forti di prima. Questo perché la maggior parte delle imprese ha saputo interpretare la crisi come opportunità di rinnovamento, in modo da mantenere e anzi incrementare la competitività. Passata la bufera, abbiamo dunque di nuovo affrontato con successo i mercati globali, forti di una più solida capitalizzazione. Ci siamo insomma dimostrati resilienti e capaci di assorbire l’urto trasformandolo in positività, dopo le comprensibili paure iniziali. I risultati parziali ufficializzati già tre anni fa, lo dimostravano chiaramente. A Stresa si avrà l’occasione di vedere come i dati di bilancio siano addirittura migliorati, rispetto a quelli di dieci anni fa.

I costruttori di molle hanno avuto il coraggio e la voglia di cambiare pelle: quali sono stati gli investimenti più importanti per concretizzare questa metamorfosi vincente?

Sicuramente, investimenti innovativi cruciali sono stati indirizzati alle tecnologie. Credo tuttavia che la parte più importante sia stata quella che ha interessato i cervelli, le risorse umane. Perché operiamo su uno scenario, quello italiano, nel quale l’imprenditoria è zavorrata da mille ostacoli e per vincere sui mercati globali l’hi-tech, da sola, non basta. Per questo, in vista di una superiore competitività, è stato fondamentale cambiare sia il nostro modello organizzativo, sia il nostro pensiero.

Credo sia stato decisivo in quest’ottica impegnarsi nella formazione, che è stata non a caso uno dei cardini della mia presidenza.

Guardandosi indietro quali crede che siano stati i momenti-chiave dei suoi tre mandati?

Sono stati tre mandati intensi. Gli inizi, per esempio, non sono stati complicati solamente per via della crisi ma anche perché Anccem stessa viveva una situazione di stallo. Il segretario generale dell’Associazione era in carica da 40 anni ma la sua sostituzione veniva continuamente rimandata: promuovere un cambiamento inevitabile non è stato semplice.

Oggi, per come ci siamo riorganizzati, la cosa non sarà più così critica. Quanto alla formazione, ho più volte ribadito che si tratta di un elemento essenziale. Era un mio obiettivo e significa dare qualcosa di più ai clienti senza dover concorrere sui prezzi con Paesi che giocoforza saranno sempre, sotto questo aspetto, in posizione di vantaggio. Il cliente oggi è un cliente esigente che pone questioni importanti alle quali dobbiamo essere in grado di dare risposte ben precise. Dobbiamo pertanto dimostrarci preparati e per questo i nostri corsi sono tutti molto mirati, parlano di molle e processi, di materie prime, di temi correlati direttamente al nostro lavoro, secondo una strategia distante da quella di altre esperienze associative.

Un altro pilastro è rappresentato dal rilancio del lavoro del comitato tecnico, in seno ai comitati internazionali sulle normative. Il comitato UNI, interamente autofinanziato come da prassi, è stato rivitalizzato; e così quello su ISO e CEN. Abbiamo collaborato alla stesura e alla definizione di norme di settore delle quali siamo molto orgogliosi, che abbiamo contribuito a portare a termine.

Non c’è dubbio che l’intenzione sia di proseguire su questa strada. Infine, non meno importante, il filo rosso dell’etica. Era già profeticamente presente nel mio discorso di insediamento, poi è divenuto un percorso voluto e consapevole per la creazione di una coscienza dei mali della finanza e dell’economia. La grande sorpresa nello studiare la crisi del 2008 è stata scoprire che l’avidità e la stupidità umana erano al centro del caos scatenato, e ne erano anzi la più autentica causa. Credo però che le alternative esistano, e di avere portato esperti in grado di illustrare percorsi diversi legati alla responsabilità sociale.

Crede di essere riuscito a contagiare i più con questa Sua visione alternativa?

Qualcuno ne è stato contagiato, altri magari no, ma è normale che la condivisione non sia totale e che vi siano perplessità. Molti imprenditori mi hanno gratificato, altrove forse la percezione del valore della responsabilità per il business non è ancora avvertita profondamente. La centralità dell’ambiente e del capitale umano erano temi che in parte avevamo tralasciato; e che invece generano valore e profitto. Le sperimentazioni, nel mondo come nella stessa Italia, cominciano a diventare numerosissime. Etica ed economia possono andare a braccetto e lo fanno; l’ecosostenibilità stessa, la nondannosità dei prodotti dà buoni risultati, anche a fronte di prezzi finali più elevati a carico dei consumatori.

I quali, però, sanno compiere scelte consapevoli e premiano le aziende che privilegiano l’etica. All’impresa serve coerenza: per questo deve esserci una comunicazione efficace e realmente allineata a determinati valori. Oggi più che mai mentire al pubblico non è più vantaggioso né possibile.

In un cammino durato dieci anni, non mancherà qualche rammarico…

Un rimpianto è legato per esempio a quella Scuola del mollista che ero a un passo dal lanciare con il contributo dei costruttori di macchine.

Ma i tempi non erano maturi né lo sono adesso: spero per questo che possa lavorarvi più concretamente il prossimo presidente.

Allo stesso modo, spero prosegua il lavoro iniziato sulle reti di impresa, sull’idea stessa del fare rete, di una collaborazione sempre più integrata. Alcuni esempi di cooperazione, magari meno stretti e approfonditi, hanno dato buoni frutti, a mio avviso.

Non resta che lavorare per lasciarsi alle spalle certi residui di un individualismo italico che è duro a morire, rendendosi conto che agire in solitudine è sempre più complicato. Già nel 2010 un progetto di rete-marketplace aveva attratto anche il mondo delle università, poiché era nato con lo scopo di condividere i magazzini, le scorte in eccesso, i prodotti non più utilizzati. Ma la sua finalità, il superamento della concorrenza interna, non fu compreso dalla massa critica che attendevo.

In che senso l’individualismo rappresenta ancora un ostacolo per le reti d’impresa?

Lo dimostra una ulteriore iniziativa di internazionalizzazione cui cercai di dare vita al principio di questo decennio, esemplare per spiegare che armonizzare una filiera è più facile che non far coincidere le esigenze di aziende che operano entro un identico settore. In una logica collaborativa, il messaggio sulla suddivisione di compiti come la ricerca dei fornitori e dei committenti all’estero; e la condivisione dei guadagni, non è sempre facile da cogliere. Se non lo si comprende, però, è lo spirito stesso della rete e della cooperazione a decadere.

Allo scorso anno risale infine l’idea di una rete focalizzata sul welfare aziendale.

È un tema molto dibattuto sul quale però abbiamo sofferto la concorrenza di operatori di mercato specializzati e con spalle ben più larghe delle nostre, a iniziare dalle assicurazioni. Credo ciononostante che in materia di reti di impresa e collaborazione siano stati gettati semi importanti, al di là degli esiti a breve, sui quali i miei successori (presidente in pectore è Francesco Silvestri del mollificio ISB, ndr) potranno edificare qualcosa di valido. Determinante sarà la capacità di comunicare che il valore delle reti sta nel loro essere più di una semplice somma delle parti: le resistenze all’idea sono tipiche dell’Italia, non di Anccem.

Rifarebbe quel che ha fatto nei suoi tre successivi mandati, con identico entusiasmo?

Assolutamente sì, lo rifarei e rifarei tutto, come ho dichiarato in occasione dell’ultimo Consiglio; e come ribadirò il 25 maggio. Sono convinto che l’impegno sia stato enorme, ma anche che questo impegno mi abbia fatto crescere enormemente e mi abbia permesso di stringere nuovi legami preziosi. Ho ricevuto più di quel che ho dato e questa è un’idea che voglio trasmettere al presidente che verrà, benché la responsabilità, all’inizio, faccia paura.

 

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