Celebrato a Baveno il Convegno Nazionale di Anccem

Cari amici e colleghi un saluto caloroso a tutti voi.
So che mai come questa volta ci sentiamo preoccupati, mai così impauriti da segnali di ripresa che nella realtà non arrivano.
In quest’occasione siamo soliti commentare l’ultimo anno trascorso. Credo non abbia nessun senso commentare i dati ancora moderatamente ottimisti di fine 2008. Anche chi ha fatto un buon risultato operativo, ha già dimenticato, e il pensiero corre inevitabilmente ai conti di quest’anno che saranno quasi sicuramente disastrosi. 
Da fine anno è cambiato il mondo… e ce ne siamo accorti, eccome! Tutti noi dobbiamo fare i conti con fatturati in forte diminuzione, ordinativi ancora peggio e cassa integrazione aumentata nell’uso fino ad oltre 10 volte.
Il presidente Angelo Cortesi
Oggi siamo venuti qua per capire dove si sta andando, che cosa ci sta aspettando e vi attendete che qualcuno vi spieghi perché succedono queste cose e come sia possibile uscirne fuori.
Purtroppo io non sono un economista e le analisi economiche con le relative ricette vanno lasciate fare alle persone competenti. Tuttavia non fidiamoci troppo di questi signori: non sono riusciti a prevedere questo disastro perché mai dovrebbero azzeccarne la durata o la soluzione?
Ma è di questa crisi in ogni caso che vi voglio parlare, alla mia maniera, fuori dagli schemi, dai numeri e senza fare previsioni ma cercando di capirne le ragioni profonde e soprattutto per fare insieme una riflessione.
Tutti noi, prima di essere travolti da questo terremoto, abbiamo assistito alla folle corsa del petrolio, ai metalli che sembravano impazziti, ai guadagni facili in borsa.
Davanti a questa finanza creativa e ricca di soddisfazioni ci domandavamo timidamente perché mai continuare a fare questo mestiere sopportando le preoccupazioni finanziarie, le rogne con i clienti, i grattacapi con il personale. Perché mai continuare a fare l’imprenditore?
Io e voi questa risposta la conosciamo bene e sappiamo perché continuiamo a fare questo mestiere, ma diciamoci la verità: qualche volta questo pensiero ci ha attraversato la mente e la tentazione è stata forte.
Oggi le domande che si affacciano in noi sono ben diverse. Ci chiediamo se domani ci sarà ancora una economia vitale, capace di produrre benessere, fondata sul mercato libero, una economia dove l’impresa ha giocato un ruolo centrale nella sua crescita e nella sua espansione.
Purtroppo, tentando di formulare le risposte prendiamo coscienza che niente sarà più come prima.
Credo che il modo di fare profitto subirà un profondo cambiamento non tanto nella finalità, quanto nel pensiero, nello stile, prendendo coscienza che il nostro modo di operare deve essere condizionato dalla domanda che nasce dalle angosce in cui si dibatte oggi l’umanità: “che mondo consegneremo ai nostri figli domani?”. E che futuro avremo se non siamo coscienti del fatto che quel futuro lo stiamo costruendo oggi?
Per questo niente dovrà essere più come prima, e il nuovo lo dovremo cercare non con un rimpianto nostalgico ma come una necessità per cambiare, per cambiare profondamente. 
È solo cercando e perseguendo con tenacia questo cambiamento che vedremo nascere un capitalismo nuovo, non più quello anacronistico di Marx ma quello che più umanamente si potrebbe chiamare capitalismo culturale.   Cosa intendo per capitalismo culturale?
Se per cultura intendiamo il complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo il capitalismo culturale si farà carico della cultura della salvaguardia dell’ambiente e dei bisogni della comunità dove il profitto viene generato.  
Potremmo anche chiamarlo capitalismo etico o capitalismo sociale: il nome non ha importanza, ma se non ci convinciamo che, insieme agli interventi di ristrutturazione aziendale più o meno dolorosi ma necessari, che la crisi sta obbligando a sostenere, èessenziale un forte cambiamento culturale e morale!! la possibile ripresa prevista nel 2010, sarà solo una ripresina che nel giro di qualche mese o anno ci riproporrà lo stesso tunnel che stiamo vivendo oggi.
È evidente che davanti ad un’ipotesi necessaria di rifondare un capitalismo nuovo, che tenga conto dell’ambiente, dell’impatto sociale che l’azienda ha nel territorio, del rispetto delle regole – dalla sicurezza alla legalità, che prenda in considerazione la sostenibilità della crescita, e la gestione attenta delle risorse anche la “ competizione “ tra le aziende, potrebbe prendere delle connotazioni diverse da quelle che s’intendono abitualmente.
(Gestione attenta delle risorse: sappiamo che le risorse non sono infinite – ho sentito di un imprenditore che importando il suo prodotto dalla Cina e non avendo sufficiente qualità sosteneva di dover buttare quasi metà container, ma con l’altra metà di guadagnare ancora bene. Questa non è una gestione attenta delle risorse!)
Oggi “ competere nel mercato globalizzato ” è l’imperativo più ricorrente, ma la parola competere ha assunto significati impropri. Significati come delocalizzare, ma anche produrre con prezzi non remunerativi perché schiacciati dalla concorrenza cinese o dell’Europa dell’est: competere nel mercato significa sostanzialmente esserci col prezzo più basso, non ha importanza come.
Per questo, negli ultimi 10 anni, da quando il mercato libero è nato, le aziende manifatturiere si sono fatte carico di innovare in modo continuo e rigoroso.
La sfida si è concretizzata con l’introduzione di macchinari e impianti sempre più veloci, sempre più produttivi e ottimizzando le risorse con dolorose ristrutturazioni. L’obiettivo era abbattere i costi producendo più in fretta e meglio. I mollifici hanno fatto queste cose in nome della competizione.  
Si diceva che se i prodotti fossero costati poco se ne sarebbero venduti di più e quindi, la gente, ne avrebbe potuto comprare grandi quantità.
Poiché da sempre si è misurato il benessere di una famiglia con la quantità di oggetti che possedeva, questa diminuzione dei prezzi avrebbe portato da un lato, più benessere nella società e dall’altro avrebbe permesso, producendo beni in grandi quantità, di mantenere alto i profitti delle aziende.
Ebbene questo sillogismo è stato la più grande falsità che gli economisti potevano propinarci.
Oggi, infatti, i prodotti hanno raggiunto un costo molto basso, ma nelle nostre famiglie assistiamo ad una diffusione della povertà che è penetrata trasversalmente tra i ceti sociali in modo così palese da essere rilevata e definita preoccupante dall’ISTAT.
Nel rapporto 2007 del 24-Aprile scorso, L’ISTAT denunciava che 2.500.000 persone in Italia vivono in povertà assoluta. Si tratta di 975000 famiglie che sono obbligate a vivere con meno di 700 euro al mese. Sono i più poveri fra i poveri, ha riferito LINDA LAURA SABBATINI, che non vivono una vita minimamente accettabile, al di sotto della soglia di povertà.
Non stiamo parlando dell’ India…. Stiamo parlando del nostro paese…     
E le aziende in tutto questo si sono ritrovate più ricche o più povere? Temo di poter affermare senza ombra di essere smentito che neppure le aziende abbiano accumulato ricchezza.
Siamo sicuri che sia questa la strada per competere?
Il significato di “competere” è ben diverso. Competere vuol dire “andare insieme”, “Convergere ad un medesimo punto”.  Può sembrare non vero, ma competere e concorrere hanno lo stesso significato.
Concorrere deriva dal latino CUM CURRERE e significa letteralmente “correre insieme” che è un concetto molto diverso da quello che siamo abituati a concedere a quel termine.
Nel dizionario poi si trovano dei significati che mi hanno fatto riflettere come “contribuire…. e cooperare”.    
In questi tempi difficili e con penuria di lavoro, competere sta assumendo esclusivamente il significato di schiacciare l’avversario, il concorrente, senza tener conto se le modalità sono corrette o in antitesi a quelle regole che Anccem già anni fa ha cercato di definire in maniera trasparente nel documento di Etica Professionale approvato nel 96 e distribuito a tutti i mollifici associati e non associati!.
Mi auguro che in tutto quest’affannoso tentativo di recuperare e arraffare lavoro per la propria azienda, per altro legittimo entro certi termini, si salvaguardino almeno i rapporti personali di amicizia che sono stati costruiti con tanti sforzi e fatica.
Per rifondare però un’economia diversa, un capitalismo nuovo, perché le aziende possano competere quindi contribuire e cooperare al fine di costruire una società che si prenda a cuore le persone e l’ambiente in cui l’azienda crea profitto, sono indispensabili 2 cose.
  1.  La necessità di recuperare una eticità personale che contagi il nostro comportamento. Quando parliamo di ETICA pensiamo sempre che sia qualcosa che riguarda gli altri, ma quante contraddizioni e incoerenze tra il nostro pensiero e le azioni che lo seguono… L’etica, prima di tutto, riguarda noi stessi e la coerenza dei nostri comportamenti. Una volta interiorizzata poi, la dobbiamo ricercare e pretendere anche dagli altri.  La dobbiamo pretendere, quindi, dai nostri clienti, dai nostri fornitori, dai nostri concorrenti(Non è concepibile che un azienda importante pubblichi sul suo sito un codice etico vantandosene con orgoglio …. E poi strozzi e ricatti i fornitori con pagamenti indecenti….)  
  2. la necessità di riscrivere le regole: non solo quelle che permettono una finanza eccessivamente creativa che ha innescato questo disastro economico, (apro una parentesi:
  • Non è possibile permettere che i potenti fondi pensioni possano destabilizzare l’economia, creando bolle speculative sulle materie prime o quanto altro, solo perché è concesso loro di vendere allo scoperto e con anticipi minimi rispetto alla somma da sborsare ovvero versare i cosi detti Margini Iniziali  (tra il 5% e l’ 8% del valore del sottostante) e conseguentemente utilizzare la leva finanziaria cui ne deriva,  per condizionare i mercati mondiali…
  • Non è possibile che i micidiali e tossici swap, in Inghilterra, dove sono nati e dove la finanza creativa ha dato il meglio di se, non si possano vendere agli enti pubblici, mentre è stato permesso di negoziarli a molteplici  Comuni italiani, e a molteplici Aziende, vedi il caso del piccolo Comune di Marradi e il caso di altri 900 enti pubblici tra comuni, province, regioni (18 su 20)  
  • Non è possibile che in questi “pacchetti”, derivati strutturati – swap – hedge found – etf – ecc. ci sia dentro di tutto: valute e obbligazioni, ma anche debiti e scommesse e risorse naturali come riso e grano. Qualche banca spregiudicata ha avanzata l’ipotesi di inserirvi anche l’acqua, l’acqua da bere: la sete fa parte dell’esistenza dell’uomo e l’acqua che ne incarna la soluzione potrebbe diventare preziosa più dell’oro. Il rischio di assetare l’umanità perché questi signori senza dignità la usano per arricchirsi è veramente possibile. ) chiudo la parentesi.
La sala del convegno all'hotel Dino
Quindi, non solo regole per indirizzare la finanza, ma anche le regole per il nostro lavoro quotidiano. Quelle che potrebbero non dico riportare in Italia le aziende che se ne sono andate, ma per lo meno fermare questa moria quotidiana. Penso ad una legge sui pagamenti (ad una legge… non ad una possibilità…) non solo per le aziende, ma anche per lo stato e gli enti pubblici. Penso ai balzelli burocratici che ci hanno imposto e che continuano ad imporci. Penso all’ IRAP, penso al gravoso regime fiscale. Penso alle leggi assurde e retroattive che di tanto in tanto ci toccano. Penso al ruolo anacronistico del sindacato che quando non c’è lavoro lo reclama e quando c’è lo affossa. PENSO… quanti ne potrei citare ancora….
Purtroppo le regole le devono fare i politici, i quali hanno già detto che la crisi è finita.
Il rischio, al di là dei grandi annunci e dei proclami televisivi, è che alle parole non segua l’impegno al cambiamento e per l’ennesima volta l’Italia perda la grande opportunità che questo grande problema ci sta offrendo.
Ricordiamo tuttavia che la nostra trasformazione etica dipende esclusivamente da noi e dall’impegno continuo nel perseguirla. Ricordiamo che le nostre scelte fatte in nome di quella trasformazione possono condizionare la società, le istituzioni e anche le grandi aziende che hanno messo il profitto davanti a tutto. 
L’attuale crisi ha riavviato un processo di trasformazione dell’industria italiana, e sta imponendo o imporrà (per adeguare le strutture ai nuovi bisogni produttivi) ancora sforzi rilevanti alle imprese del manifatturiero ed in particolare alle molte piccole imprese del nostro tessuto industriale, la maggior parte delle quali ha già investito, innovato e trasformato in questi ultimi anni, tutto quello che si poteva innovare e trasformare. Come ne usciremo allora dalla crisi? Quali saranno le nuove frontiere che la piccola impresa, noi mollifici, dovremo raggiungere per restare e competere nel mercato globale?
2 sono le strade che, a mio avviso, dovremmo percorrere con convinzione:
•         La conoscenza: attraverso la formazione servirà a sviluppare competenze e a creare quella cultura che ci permetterà di passare dalla società dei consumi alla società della cultura.
•         L’aggregazione: di aziende fisiche come sta succedendo nell’auto o aggregazioni virtuali sviluppando piattaforme comuni che permettano alle imprese di fare sistema intorno a dei progetti di servizi condivisi, per mezzo dei quali si possa realizzare una vera aggregazione funzionale.
Credo che nei prossimi anni ANCCEM dovrà perseguire e rafforzare le strade appena abbozzate.
Angelo Cortesi durante la sua relazione
Nel primo quadrimestre 2009 intanto abbiamo attuato alcune importanti iniziative associative che vanno già in questa direzione:  
1)    Abbiamo portato in Italia gratuitamente per gli associati, un Seminar europeo di Tecnologia delle molle che abbiamo intitolato “Il contenuto occulto delle molle”. Questo seminar si è svolto al President Hotel di Roncadelle il 12 febbraio con la presenza di 34 aziende associate e 58 persone. Oggi distribuiamo gli attestati di partecipazione che servono per documentare la formazione professionale del personale.
È già stata stabilita la data per il Secondo Seminar, finanziato dalla Comunità europea, che svolgerà sempre I.S,T. e che completerà i dati sul programma di ricerca dei requisiti di durata a fatica delle molle. Si terrà ancora a Roncadelle, lunedì 28 settembre, sarà sempre in inglese con traduzione e sarà ancora gratuito.
2)    Finalmente dopo due anni di tentativi, è andato in porto il viaggio in Cina dell’ Anccem Group composto da 21 nostri associati, con l’incontro con il Consiglio della CSSA China  -l’associazione dei mollifici cinesi, e la visita ad alcuni loro mollifici. Più tardi il dott. Visentin illustrerà questa esperienza con più dettagli.
3)    Abbiamo avviato la seconda indagine anonima (la prima fu nel 2001) sui procedimenti di calcolo del prezzo delle molle, che ci fornirà un quadro dettagliato del fattore più importante dello scopo delle nostre imprese: il prezzo di vendita. Non si tratta di un biasimevole tentativo di unificare i prezzi o di istigare impossibili accordi contrari al libero mercato, ma di uno studio sui modi di calcolare i costi di produzione e la copertura dei rischi, con la speranza che poco per volta si veda diminuire l’ampia forcella dei prezzi proposti dai mollifici per uno stesso lotto di molle e si possano portare i prezzi delle molle a un livello più remunerativo.
4)    Il Consiglio ha deliberato di distribuire gratuitamente agli associati la nuova edizione della norma UNI ISO 9001, come già abbiamo fatto per il CD UNI-ANCCEM con tutte le norme UNI e EN sulle molle. Inoltre, tutte le Guide Didattiche e i 4 Manuali Anccem di formazione interna per il personale dei mollifici sono stati riuniti in un Cd che oggi è distribuito gratuitamente ai mollifici associati. Sono piccoli aiuti in un momento difficile.
Finisco questo lungo discorso porgendo il benvenuto a tutti voi e ai nostri illustri ospiti al Convegno Anccem 2009.